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La crisi ideologica del capitalismo

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“Paradossalmente adesso viviamo in un periodo di crisi ideologica”, così Luigi Zingales ha catturato l’attenzione di coloro che, forse proprio in cerca di una spiegazione al disorientamento, all’attuale mancanza di solidi punti di riferimento, hanno riempito l’Aula Magna del Palazzo del Bo lo scorso 21 settembre.

“La troppa poca ideologia può però essere intesa in senso positivo, cioè come spazio lasciato libero ad una visione del mondo nuova verso cui andare” continua Zingales, che, infatti, nel suo ultimo libro “Manifesto Capitalista” propone un modello preciso di soluzione alla drammatica degenerazione economica e sociale che stiamo vivendo: il capitalismo.

Non il capitalismo accecato dal potere, clientelare e corrotto, ma un capitalismo rinnovato nella sua essenza, recuperata dagli elementi che nella storia degli Stati Uniti ne hanno costituito la forza, cioè un sistema efficiente e meritocratico.

Alla base di tutto questo vi è l’idea rivoluzionaria di Adam Smith, il primo ad essere convinto che la concorrenza fosse un bene, perchè capace di sovvertire il mero perseguimento dell’interesse individuale nella realizzazione di un vantaggio collettivo.
Capace sì, ma non automaticamente: il mercato, e la società, hanno bisogno di regole, poche e semplici.
Dalla crisi della prima globalizzazione alla fine del IXX secolo ciò che, infatti, risultò essere lo strumento efficace per contrastare lo strapotere delle grandi imprese fu l’introduzione di una serie di misure (antitrust, trasparenza, lotta contro i monopoli finanziari) da parte di Theodore Roosevelt, su ispirazione delle intenzioni del People’s Party.
É tuttavia necessario limitare al minimo la misura dell’intervento statale: l’attribuzione di incentivi e sussidi, a lungo termine danneggiano le stesse imprese. Un esempio? Benetton, attirato dal sicuro e protetto mercato delle autostrade e aeroporti, ha perso il primato nel settore tessile, di cui è stato uno dei più grandi innovatori.
Si pensi anche all’impegno civico: è certamente assurdo chiedere a ciacun cittadino di specializzarsi sulla materia su cui è chiamato ad esprimere il suo voto, ma se le proposte di legge fossero meno numerose e più chiare, gli stessi sarebbero certamente più consapevoli del loro contributo nella conformazione delle scelte democratiche.
Questo potrebbe addirittura evitare la degenerazione in correnti populiste (da Occupy Wall Street a Grillo): contro tutti ma per realizzare che cosa?
Quello che può davvero cambiare la società, insieme alla competitività, è la possibilità di accedere a una trasparente circolazione di informazioni, tale da rendere ognuno partecipe, e responsabile. L’importanza del controllo di informazioni è spesso certificata in modo negativo: innumerevoli sono le ricerche di giovani economisti lasciate cadere su caldo invito delle banche soggette alle loro indagini perchè “non interessanti”.
La possibilità di contrapporre diversi punti di vista sullo stesso piano è ciò che permette alle class action di essere un efficace strumento di contrapposizione equilibrata nei confronti delle grandi imprese.
“Facilitando l’aggregazione di un miliore di piccole cause da un euro ciascuna, in modo che siano trattate come un’unica grande causa da un milione di euro, il risultato è che non solo c’è maggiore protezione per i consumatori, ma vi è anche maggiore competizione intellettuale nel mondo accademico”.
L’ambizione degli intellettuali al riconoscimento e al prestigio accademico, espressa in lodevoli tesi divulgabili e comprensibili al pubblico, in tal modo informato e capace di influenzare con coscienza le scelte politiche, rappresenta al meglio il beneficio della concorrenza immaginato da Smith.
Come realizzare tale concorrenza a livello pratico? In un sondaggio di prossima pubblicazione, compiuto da legalPAD su un campione di 50 studenti americani, frequentanti i più disparati college (da Boston College alla University of Southern California, dal Texas A&M University alla Harvard), il 90% è concorde nel sostenere che il sistema educativo offre loro una grande varietà di opportunità per potersi esprimere.
L’attenzione è focalizzata sulla diversa personalità degli studenti, anche per quanto riguarda la scelta dei corsi. Sarebbe impensabile in tale contesto proporre percorsi obbligatori per tradizione non sostenuti da una sentita partecipazione e interesse, ma, piuttosto, dalla necessità di occupare gli insegnanti. E, se tutti gli intervistati erano a conoscenza della parola “nepotismo”, il significato ad essa collegato rientrava più nel concetto di capacità di costruire relazioni di fiducia per trovare lavoro, lontano da ogni riferimento a clientelismo e corruzione.
La competizione è libertà di espressione: il sogno americano è stato prima di tutto intrapreso quasi un secolo fa da un gruppo di studenti fuggiti da una Bologna troppo controllata dalla Chiesa, per creare un’idea alternativa di università.
Lo stesso spirito entusiasma Scuola d’Italia: di fronte al contemporaneo panorama di decadenza e corruzione, vogliamo proporre uno spazio di dinamica rifessione, perchè l’attivazione della ricerca della propria “alternativa” è ciò che permetterà alla società di abbandonare un sistema obsoleto per abbracciare valori in cui credere.


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